L’altro giorno, mentre facevo una consulenza ad un ragazzo, mi sono trovata a fare un discorso di questo tipo:
le relazioni sane, sia sentimentali che amicali, sono quelle dove ambedue lavorano in sinergia per stare bene assieme con la volontà di farlo perché ritengono che quella relazione sia preziosa e benefica, gioiosa e costruttiva. Le relazioni dove non c’è questa volontà forte alla radice, quindi le relazioni dove l’altra persona viene percepita come un pericolo, un nemico, una minaccia, o comunque le relazioni dove c’è una paura di fondo ad avvicinarsi, sono relazioni che nascono e, talvolta, crescono su un terreno traumatico e, per quanto possano essere utili a conoscersi e guardarsi dentro a chi ne ha gli strumenti, è bene sapere che non sono relazioni che possono avere risvolti sani nel lungo termine, a meno che ambedue non riescano a maturare delle diverse consapevolezze.
BISOGNO E FINE DELLA RELAZIONE
Va specificato, però, che solitamente, quando uno dei due o ambedue maturano una qualche consapevolezza e vanno a sbrogliare un qualche nodo interiore, quasi certamente la separazione è inevitabile. Nel senso che, le relazioni nate dal bisogno, sono destinate a terminare nel momento in cui cambiano i bisogni o vengono colmati da qualcun altro o, auspicabilmente, da sé stessi.
Quindi, a conti fatti, le relazioni che nascono con l’intento di conoscere una propria parte di sé proiettata nell’altro o le relazioni che nascono perché si è attratti da una qualità dell’altro che si desidera sviluppare, non sono relazioni complete ed equilibrate, ma sono solo dei passaggi obbligati utili a consapevolizzare una qualche questione personale.
COME NON TROVARE I “CASI UMANI”
Per accedere allo stadio dove si smette di trovare i cosiddetti “casi umani” – perché ovviamente quasi tutti danno la colpa al partner – e quindi per avere una relazione, diciamo così, con “la persona giusta”, quindi una relazione di amore e non una relazione di bisogno, è necessario che, prima, si sia passati attraverso le relazioni grezze e si sia compreso ciò che si doveva comprendere.
Una volta fatto ciò, però, è anche importante saper uscire dal meccanismo appreso, ovvero sapersi disidentificare dalla relazione sul piano dell’apprendimento e saper passare alla relazione sul piano della condivisione. Bisogna, cioè, saper vedere che la relazione non è sempre e per forza un campo minato da percorrere e risolvere senza far esplodere la bomba (o i fiorellini, per quelli che sono venuti dopo la censura), quindi bisogna uscire dal mindset che dice che la relazione è un campo di addestramento e basta. E basta.. Perché la relazione può avere anche degli aspetti di aiuto, supporto, proiezione, ma non deve essere quella la radice, altrimenti si otterranno sempre e comunque delle relazioni transitorie, insoddisfacenti, salvo la magra consolazione, in termini dell’Io, di aver scoperto una parte di inconscio (se si è particolarmente bravi, se no.. altra corsa, altro giro, e via con la medesima dinamica col partner successivo).
LA RELAZIONE DI CONDIVISIONE
La relazione di condivisione, quella che può durare anche per tutta la vita senza che ci si faccia le corna e senza che ci si sforzi di non tradirsi perché si è cattolici, è un rapporto che accade nel momento in cui una persona ha tolto di mezzo il grosso della sporcizia interiore (convinzioni, paure, pregiudizi, barriere, limiti, tutele, desideri egoici, etc.), si sta dedicando a sé, non sta annaspando alla ricerca di qualcuno, ha donato a sé stesso quello che prima desiderava ricevere dal partner (come proiezione del genitore che aveva agito delle mancanze) e, soprattutto, nel momento in cui è pronto a lasciare andare le vecchie dinamiche relazionali, consapevole che ciò che desidera è, nel bene o nel male, avere vicino qualcuno con cui camminare lungo il sentiero della vita, e non usare e sfruttare l’altro per guardarsi dentro o per farsi colmare i vuoti causati dalle mancanze genitoriali.
Ci sono migliaia di modi per guardarsi dentro, anche senza doversi scaraventare nelle relazioni con la testa bassa, prendendo a scornate il partner per fargli mollare il drop, il reward che ci serve per evolvere.
La relazione forzata e traumatica, quella che nasce perché uno dei due è bravo a manipolare e/o perché ambedue hanno un interesse inconscio nel farla nascere, è una prerogativa di chi non sta svolgendo bene un lavoro interiore o di chi ha appena iniziato a svolgere un lavoro.
PRENDERSI LA RESPONSABILITA’
Chi, invece, sta lavorando da un po’ sulla propria persona e continua inconsciamente a ricercare la relazione traumatica (dove uno dei due respinge l’altro, dove c’è possesso, gelosia, tradimenti, paura dell’abbandono, manipolazione, incompatibilità sessuale, etc.) è una persona che non si sta realmente e profondamente prendendo la responsabilità della propria crescita interiore ma sta, sempre inconsciamente, per carità, cercando ancora di farsi salvare da mamma e papà (proiettati nel partner, come già detto) e questo è un atteggiamento malsano, spesso inutile o ben poco utile alla propria crescita nel momento in cui se ne diviene consapevoli.
In altre parole, più semplici: se non siete consapevoli intimamente e completamente che i vostri bisogni sono dati da questioni vostre interiori e pensate che il partner possa davvero risolvere i vostri problemi, allora va bene che continuiate con le relazioni di bisogno.
Ma, se sapete quanto appena detto, avviare una relazione fondata sul bisogno non ha senso, è pigrizia, procrastinazione, poca voglia di fare un lavoro sulla propria persona perché esiste sempre quell’intima speranza che un partner davvero possa farci finalmente stare bene.
“MI SERVE…”
In quelli che, invece, hanno qualche base di crescita personale o sono stati un po’ in terapia, il pericolo maggiore è quello di arrivare a dire “eh ma probabilmente, se sto con questa persona, vuol dire che mi serve perché sto imparando XYZ cose su di me”… cazzate. Questa è solo una scusa ben articolata per continuare a rimanere nella tossicità per un personale bisogno egoico che nulla ha a che fare con la crescita.
Quando una persona comprende il nodo che la porta verso una persona, a quel punto l’agito, ovvero la frequentazione di quella persona, è del tutto inutile.
Se, per esempio, capisco che la mia attrazione verso la donna che mi rifiuta è data da una mia intima percezione di non avere un valore, e quindi dal non conoscermi, e che quindi quella relazione è governata dal trauma, e se capisco che devo lavorare sul mio problema a livello inconscio, a cosa mi serve stare con la donna che mi considera una nullità e che mi allontana? Diventa solo una questione di pigrizia, un’abile mossa dell’Io che, per continuare ad esistere, ha bisogno di mantenere attive le situazioni confuse, drammatiche, irrisolte, superficiali. Tutte le cazzate, che ci raccontiamo per rimanere all’interno delle relazioni che hanno già dimostrato di essere governate dal trauma, sono volte solo al nutrimento perpetuo dell’Io e non possono portare alla guarigione. A meno che, ambedue, non stiano facendo un percorso di introspezione, crescita personale o terapia. In questo caso, come vedremo, le cose cambiano.
MA NEANCHE UN PO’?
Ripeto e sottolineo, non sto dicendo che, nella relazione, non ci debbano essere proiezioni o che le persone che intraprendono una relazione debbano essere libere da traumi, perché sarebbe pressoché impossibile. Se una persona fosse del tutto priva di traumi, proiezioni e bisogni, starebbe probabilmente da sola perché crollerebbe quel legante che spinge ad avvicinarsi a qualcuno. Anche la condivisione, infatti, è in parte fondata su dei bisogni, sani, di trovare qualcuno che ci assomigli, che ci capisca, che appunto condivida ciò che siamo e che amiamo.
Quindi non sto dicendo, lo ripeto, che nella relazione non ci debba essere un soddisfacimento dei bisogni reciproci, ma sto dicendo che le relazioni che emergono da traumi e proiezioni sono relazioni utili solo in una fase iniziale, di conoscenza e frequentazione, per intenderci, e che costruire una relazione solida su queste fondamenta, nella speranza che la relazione sia duratura, facendoci sopra mutui e figli, è ingenuo e pericoloso.
Un amore a un’ottava superiore nasce da persone che hanno intimamente deciso di non affidare la propria guarigione ad una figura genitoriale sostitutiva. La base, quindi, è una presa di responsabilità totale nei confronti dei propri traumi e dell’indagine e guarigione degli stessi, con la certezza che, se io mi assumo la mia responsabilità e non scarico sull’altro o non chiedo assistenza all’altro, sarò dal partner compresa nei miei limiti e amata per ciò che sono, ovvero una persona in cammino, come tutti, con i propri pregi e i propri difetti.
Chi invece si chiede ripetutamente “perché non vengo amato per ciò che sono?” non ha capito che, lui in primis, non sa chi è e, quindi, non mostra agli altri ciò che è, ma va in giro a pretendere che gli altri lo amino per ciò che non è, coi risultati che sappiamo, ovvero di essere ripetutamente rifiutati.
IL RIFIUTO
Chi rifiuta non è cattivo, semplicemente il rifiuto è uno stato che ha molteplici ragioni di esistere:
– può essere che, chi rifiuta, sia una persona che, nel percorso personale, si trova ad uno stadio laddove si ama e vuole circondarsi di persone possibilmente sane e quindi, non trovarsi in sintonia con le vostre pretese date dai bisogni, vi rifiuta. Ovviamente, in questo caso, parliamo di chi non è consapevole di avere in atto delle proiezioni e quindi chiede al partner di farlo stare bene attraverso dei gesti che lui ritiene indispensabili.
– può essere, chi rifiuta, sia qualcuno che, pur avendo gli stessi problemi e stato di coscienza che avete voi, ha i traumi che non si incastrano bene coi vostri traumi, e quindi non parte il legame perché uno non può realizzare le aspettative dell’altro.
– può essere che, l’essere rifiutati, abbia il compito di mostrarvi un aspetto che dovete integrare, magari ad esempio l’amore per voi stessi. Quindi, nel rifiuto, anziché deprimervi, potete imparare ad amarvi a prescindere che l’esterno vi rassicuri.
Perciò, quando mi dite “Perché quella non mi vuole?” o “Perché non trovo la persona giusta e attiro solo pazze?”, la risposta la trovate qui dentro e la soluzione la trovate dentro di voi.
STAI CON TE
Solo che dovete smetterla di attaccarvi all’esterno, come devoti in cerca dell’estasi, ma dovete iniziare a stare con voi, per davvero, e questo implica la totale cessazione di tutte quelle azioni che nascono dal bisogno di evadere, di sentirsi riconosciuti, amati, capiti, supportati, prima che riusciate a farlo voi, con voi stessi.
Ripeto e ribadisco, non sto dicendo che sia sbagliato desiderare di essere amati e accolti, ma sto dicendo che non ha senso andare in giro a pretenderlo dagli altri quando noi, per primi, non siamo in grado di farlo con noi stessi e, di conseguenza, anche con gli altri.
“Daniela, ma io la mia ex l’amavo davvero, io so amare, era lei che si comportava male, ma io l’amavo tantissimo”
SBAGLIATO! Quando si ama aspettandosi qualcosa in cambio, quell’amore non è del tutto genuino. Sicuramente c’è anche un reale amore e affetto da qualche parte, più o meno nascosto, ma la base delle esternazioni amorose e sessuali è quasi sempre quella di portate il partner a ricambiare.
La frase inconscia che produce il trauma è sostanzialmente questa:
“Io ti do amore, affetto, supporto, ti aiuto, ti sto vicino, ti faccio i regali, mi comporto come piace a te, non ho problemi a farlo, ma tu mi devi dare quello che serve a me negli stessi termini.”
Quindi si tratta sostanzialmente di un “dare per ricevere”, contrariamente al “dare per dare, perché sono felice se tu sei felice” che dovrebbe essere la base delle relazioni sane.
Nel prossimo articolo vedremo i meccanismi di fuga dall’amore e come fare per distinguere tra le resistenze e paure che ci impediscono di amare, e la voce profonda del Sé che sa che quella non è la “persona giusta”.